Disordine urbano
- WindOfMind

- 21 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Tasto destro del blocca schermo, un rimbalzo sul letto e basta con il telefono. Basta scrollare su, giù senza senso nelle storie degli altri. Volevo incontrare i miei pensieri. Andavano in alto e in basso anche loro, dovevano raggrupparsi, avvicendarsi lenti e trovare un ordine.
Avevo scelto di accendere una candela profumata. Era un appuntamento a luci soffuse con me stesso? La fragranza non la sentivo più, però l'avevo scelta, la sua fiamma rilassava principalmente i miei occhi e secondariamente i miei pensieri che appunto iniziavano a trovare un ordine, anzi una tranquillità. Riaffioravano.
Ciclicamente Bologna si era ripresentata calda, afosa , lenta e quasi odiosa. Tutto questo ormai presentandosi con cadenza annuale precisa, aveva il suo fascino, un po' per abitudine, un po' perché avevo la possibilità di osservare come ciclicamente ero cambiato io, la mia percezione della città. Il cielo si era "allungato" e prima che diventasse totalmente buio bisognava attendere .
Il tempo trascorreva e mi accarezzava come il venticello serale, porte e finestre aperte per far soffiare la corrente. Dalle mie finestre non potevo vedere il mare, ma i tetti , un accenno di colli e dietro un albero la luna. La poca luce faceva soffermare i miei pensieri sul mio disordine urbano, il mio appartamento in affitto, datatissimo, talmente tanto che all'epoca della costruzione vi era il figlio del secolo, ora la sua "seguace". Mi soffermavo ad osservare le stampe di fronte a me tutte cinematografiche e quelle dietro di me, da definirsi "sulla mia testa" , la maggior parte soggetti femminili ai quali avevo attribuito un volto, un significato e un nome C,I,G,A,S,V quasi da formare l'acronimo di un consorzio agrario. Il disordine urbano si stava allineando in qualche modo posavo lo sguardo a quel pizzico di luna che si vedeva dalla finestra della mia caverna, mille donne sulla mia parete ognuno con il proprio nome, con la sua storia, con un nostro trascorso, attenzione nessun trofeo di caccia, ma dei tuffi che il mio cuore e la mia mente hanno fatto negli anni sotto le Due Torri. Era affascinante che lo spazio sulle pareti fosse finito quasi ad indicare che non vi fosse più spazio per un disegno con un volto. Nessun altro chiodo da appendere, facevano posto ad una matita invisibile che non ho mai saputo usare ma che mi permetteva di creare contorni, forme, linee ma senza un viso, senza una tormentata speranza. Una presa di coscienza ulteriore, però a lei che non esisteva, aveva già delle fantasie nelle quali era entratada protagonista , dalle più frizzanti a quelle più delicate, posti da farle visitare per la città e viaggi. Tra queste onde che cavalcavo mi sono soffermato sulle parole di una mia amica che mi ha detto "voglio ridere", cazzo aveva ragione, ma gli occhi erano pesanti, andava rinviato tutto alla sera successiva.
Sapevo benissimo che quel pensiero andava sviluppato in quel momento, arrivata la sera dopo e svanì il tocco magico, musica, affacciarsi dalla finestra cosa che ormai non si fa più pur di stare al telefono senza fissare distrattamente la strada fuori , non stavano avendo successo, il pensiero era volato, ma lei aveva ragione, bisogna ridere fa bene come la brezza estiva notturna su i colli dopo giorni a 35 gradi all'ombra, nella luce soffusa della città vista dall'alto sotto le stelle. Che melenso, no il disordine urbano lo stavo combattendo così, ripulendo e tuffandomi. Chi lo avrebbe detto che Bologna d'estate senza mare, senza calcio, senza freddo, senza traffico ma pur sempre disordinata, potesse ritornare utile?
Che liberazione finalmente disordinato in qualcosa, nei miei pensieri che però sapevano cosa volevano , ma dovevano e volevano essere montagne russe.
WoM





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